Fanti guarda lontano: "Regola 19 rappresenta la base ed è l'unica che parla e ascolta tutti"
Il presidente parmense spiega le ragioni della nascita del movimento, analizzando le criticità della pallamano nazionale
Oltre Stanislao Rubinetti e Anna Lattuca, Regola 19 può vantare - tra i suoi padri fondatori - anche un'altra figura di grande esperienza nel movimento pallamanistico nazionale. Il parmense Francesco Fanti, attuale consigliere e presidente della Pallamano Parma e presidente regionale Area 4 dell'Emilia Romagna, ha sottolineato quali propositi per dare una sterzata al movimento, spiegando anche le ragioni di Regola 19.
Perché Regola 19?
“Regola 19 non solo perché è la regola che non c’è del fair play, ma anche perché è l’unica che parla, ascolta e ragiona con la base: le società, i tecnici e gli atleti. Non ha interessi di parte ma è per il movimento della pallamano. Regola 19 rappresenta la base del movimento, quello che ha più bisogno di aiuto, di risposte e di rappresentanza. Non abbiamo interessi personali ma vogliamo trasparenza e meritocrazia per rilanciare il movimento della pallamano”.
Quando avete capito, insieme con Rubinetti e Lattuca che sarebbe arrivata l'ora di creare un movimento per far sentire la propria voce e soprattutto proporre le vostre idee per migliorare il mondo della pallamano?
“Sono anni che noi colloquiamo con i territori e che nel nostro piccolo cerchiamo di migliorare il mondo della pallamano come il campionato senior femminile di quest’anno. Cerchiamo soprattutto di far capire che occorre l’impegno di tutti e che la politica sportiva non debba essere solo favoritismi e poltrone verso alcuni, spesso i più grandi, influenti ma incapaci. La politica sportiva dovrebbe servirsi dei migliori dirigenti per essere al servizio dello sport, nel nostro caso della pallamano, soprattutto al servizio delle società più piccole per farle crescere e in questo modo fare crescere tutto il movimento dalla base”.
Vista la tua ultradecennale esperienza - dialogo maggiore fra società a parte - di cosa avrebbe bisogno il movimento per tornare ad avere un appeal che oggi non ha?
“Occorre investire in dirigenti più consapevoli e capaci e che mettano da parte le proprie singole realtà. In secondo luogo allargare la base andando nelle scuole dei paesi e delle città dove ci sono strutture adeguate (palestre 40x20); terzo, spingere sulla comunicazione (non solo social), ma anche con Tv in chiaro ed organizzare eventi attorno ai nostri eventi della Nazionale o alle Finali di Coppa Italia. Tutto questo non si crea in 6 mesi ma occorrono anni per avere dei risultati, per questo ci vogliono dirigenti capaci e che non pensino alla poltrona o alla loro società”.
Con Rubinetti si parlava delle troppe differenze, ancora oggi, fra movimento al Nord e quello al Sud. Voi vivete realtà del Nord Italia dove comunque c'è un movimento importante ma la forbice con le realtà del Sud sembra sempre più ampliarsi nonostante gli sforzi di alcune società (vedi Conversano e Fasano al maschile o Salerno ed Erice al femminile): come è possibile ridurre queste distanze (non soltanto da un punto di vista chilometrico)?
“A ridurre questa distanza non devono pensarci solamente le singole società, lavorando nei loro Comuni o in quelli limitrofi. È un lavoro lungo, di organizzazione e di persone che deve essere fatto sui territori anche a livello di presidenti e delegati regionali. Come diciamo sempre noi di R19: “le persone giuste al posto giusto”. Se il responsabile regionale è una persona che non bada al proprio orticello e ha validi collaboratori (dirigenti e tecnici), allora si potrà vedere una crescita, magari piccola ma costante. Al contrario la crescita non potrà mai avvenire se il responsabile bada alla poltrona o ai propri interessi e non allo sviluppo della pallamano sul territorio. È ovvio che anche per ridurre il divario fra sud e nord non ci vogliono 6 mesi, ma almeno 4/5 anni con un lavoro costante che deve iniziare dai Comuni, dove già esistono società. E, come ho detto prima, dove ci sono strutture adeguate. Questo è solo l’inizio, poi occorre pensare a formare i dirigenti, i tecnici e i collaboratori. Tutto questo deve essere un grande progetto, studiato e proposto dalla Figh centrale che coinvolga i territori, dai responsabili delle Aree alle società, perché spesso nelle periferie le società si sentono abbandonate”.